Lo spam è una percezione


Nelle ultime settimane mi sono assolutamente convinto che lo spam sia una percezione: è spam quello che avverto come spam e non quello che è definito come tale da leggi e netiquette.

No, non sono impazzito, sono tre esperienze professionali vissute che mi hanno fatto cambiare, in modo definitivo, il modo di concepire lo spam.

Esperienza 1: lo spam profilato

Un conoscente, per lanciare un sito web di annunci, ha raccolto su altri siti indirizzi email di privati inserzionisti. Gli indirizzi raccolti sono poi stati utilizzati per l’invio di una mail che invitava a inserire gratuitamente l’annuncio sul nuovo sito. Rabbrividendo al solo pensiero, ho guardato con lui i risultati di questa attività e… sorpresa: richieste di cancellazione zero, nessuna mail di protesta o di minaccia (di solito capita), nessun feedback loop negativo, tasso di conversione 2,5% (non male!). Con 4 invii sono stati duplicati gli annunci inseriti nel sito.

Lezione 1: lo spam profilato funziona parecchio.

Esperienza 2: il permission marketing selvaggio

Un’azienda operante nel B2B invia due volte al mese la stessa newsletter  alla sua lista di contatti. Per stessa newsletter intendo lo stesso identico messaggio con lo stesso identico oggetto. A ogni invio le richieste di cancellazione toccano quasi il 2% e arrivano diversi feedback loop negativi. Dati sui tassi di conversione non sono indicativi per il tipo di prodotti trattati (impianti industriali).

Lezione 2: Avere l’autorizzazione a inviare email non significa doverle inviare a tuti i costi.

Esperienza 3: l’utente killer

Un’agenzia viaggi invia la consueta newsletter mensile alla sua lista di contatti. Uno dei destinatari non si ricorda di essersi iscritto e ricevendo la newsletter fa partire una segnalazione di spam. La sfortuna vuole che il destinatario sia anche un sistemista, il quale segnala alle blacklist il server mittente e apre una discussione su diversi gruppi segnalando l’invio, a suo modo di vedere,  illegale. Queste due attività hanno ovviamente avuto parecchie ripercussioni negative per l’agenzia in questione.

Lezione 3: qualsiasi tuo contatto può essere il tuo peggior nemico, anche se lo conosci

Tralasciando commenti e valutazioni sulla gestione delle strategie poste in essere nei tre casi riportati e tornando allo spam come percezione, emerge chiaro che se un messaggio non mi da fastidio non lo considero spam. E questo a prescindere dal fatto che il messaggio mi sia inviato perchè l’ho richiesto, o meno e se cononosco o meno chi me lo manda.

E’ una questione di logica: se ricevo un messaggio che mi interessa gli presto attenzione a prescindere. E’ l’interesse verso ciò che mi viene proposto che genera la percezione che sia o meno spam. Banale? Si ma non troppo se si pensa a quante mail riceviamo e a quante siano davvero interessanti.

E allora tutti a fare spam? Sicuramente no. Quello che emerge chiaro è che è sempre più necessario prestare attenzione ai contenuti che vengono inviati, ma di questo ne parleremo prossimamente, prometto


10 risposte a “Lo spam è una percezione”

  1. Sono assolutamente d’accordo. Anche la peggior forma di direct email non sarebbe spam, se il pianeta non fosse tampinato di email inviate a destra e manca.

    L’abuso genera la percezione negativa e la percezione negativa genera il sentimento negativo. Il sentimento negativo genera le azioni negative (cattivi feedback, segnalazioni di spam, cancellazioni).

    Ci aggiungerei anche un’altra cosa. L’invio sistematico di informazioni in cui solo una parte prende, senza mai dare nulla.

  2. Un punto di vista attuale e decisamente condivisibile. Il caso pratico di cui ho spesso riscontro, è il secondo. Le aziende fanno di tutto (e non sempre in maniera lecita) per ottenere opt-in per poi vanificare gli sforzi con comunicazioni ripetitive e prive di un vero contenuto. Con l’aggravante della reiterazione, a volte. Essere rilevanti non è più un optional e produrre contenuti all’altezza DEVE costare fatica!

  3. Concordo con quello che scrivi, secondo me però quello a cui ti riferisci è una definizione di spam “ampliata” ed anomala. Il caso 1 non solo è spam … È di più e non si fa. Dire che è anche stato fortunato. Il caso 2 è un problema di comunicazione/marketing autolesionista. Il caso 3 È sfortuna.

    Pensa che io sono costantemente nelle liste di un fornitore di servizi di email marketing (non ho mai autorizzato questa azienda a utilizzare la mia mail per fornirla a terzi e so che sono sempre loro perchè è scritto nel footer) Ogni volta che un loro cliente invia mail mi disiscrivo. Peccato che lo devo fare per ogni loro nuovo cliente e non ho modo per chiedere di non essere eliminato una volta per tutte. Questo cos’è?

  4. d’accordissimo che è un problema di percezione.
    Mauro, il punto 1 è tecnicamente spam, ma due considerazioni:
    – nel momento in cui dai informazioni utili smette di esserlo
    – se questo è spam, cos è quello del Viagra?? SuperSpam

    Quelli descritti sono tre casi replicabilissimi e rappresentano bene ciò che avviene in azienda (medio piccola, aggiungerei)

  5. Cos’è lo spam?

    Almeno per me, si traduce in una serie di messaggi che non mi interessano.

    Quando ricevo messaggi di “spam” che veicolano informazioni per me interessanti, tali comunicazioni si trasformano ai miei occhi, diventando una risorsa.

    Quindi, in fin dei conti, lo spam ci può anche stare, ma deve essere altamente profilato sugli interessi degli utenti.

  6. Sono pienamente d’accordo. Si tratta di un’osservazione che è stata fatta anche a proposito della pubblicità: quando non ci interessa è pubblicità; quando ci interessa, diventa informazione.

  7. Spam, almeno per me, è tutto ciò che non è gradito.

    Le aziende dovrebbero impegnarsi a ottenere opt in in maniera lecita e soprattutto, una volta ottenute le adesioni, dovrebbero produrre contenuti editoriali di ottima qualità, per spronare gli utenti a partecipare ai loro progetti web.

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